𝗖𝗼𝗺𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗮𝗹 𝗩𝗮𝗻𝗴𝗲𝗹𝗼 𝗱𝗶 𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗮 𝟱 𝗙𝗲𝗯𝗯𝗿𝗮𝗶𝗼 𝗲 𝗿𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗺𝗶 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗔𝗿𝘁𝗲
Il senso complessivo di questa pericope è del tutto evidente: il Signore ci sta chiedendo di essere un esempio per chi ci sta vicino, per chi ci guarda, per il mondo. Ma questo semplicissimo dato costituisce di per sé una critica al nostro modo ordinario di pensare: “io non ho niente da insegnare a nessuno!”, “ io non voglio dare lezioni!”. Se queste espressioni che ormai fanno parte del nostro parlare abituale sono apprezzabili in quanto indicano una umiltà personale, rischiano però di trascurare un aspetto importante: non siamo noi i portatori di una lezione da imparare o condividere, ma siamo semplicemente latori di un messaggio: quello di chi è più grande di tutti noi e può, a buon diritto, essere chiamato “il maestro”. Avere un messaggio da portare al mondo non significa assumere un atteggiamento superbo o un ruolo di primo piano.
E non dimentichiamo poi un particolare che questo testo sottolinea: non ci dice che il mondo deve ascoltare le nostre parole, ma al contrario, ci suggerisce che le persone, vedendo le nostre opere buone, si possano convertirsi e vivere una esistenza autentica. Sembra di ascoltare il Pontefice che, citando il suo omonimo santo, ama ripetere: “Annunciate! Se proprio necessario, anche con le parole!” Noi tutti sappiamo che l’opera a cui siamo chiamati ad immagine di Gesù è quella del servizio; il suo, come il nostro posto sarà sempre quello a fianco del povero e dell’umile. Se seguiremo questa strada nessuno potrà mai accusarci di superbia.
𝗟𝗮 𝗖𝗿𝗼𝗰𝗶𝗳𝗶𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲
Questa crocefissione è opera di uno dei maestri italiani del 900, Renato Guttuso che, pur essendo notoriamente non credente, si trova costretto a dover utilizzare la croce per poter esprimere ciò che anche lui vede, come profonde verità. E forse per il brano di oggi quest’opera può esserci di aiuto: la crocefissione non è un evento solitario e appartato: la folla partecipa ed è presente, quasi a contemplare l’orrore. Mossa probabilmente dalla curiosità che attanaglia tutti noi quando accade qualcosa di inedito le persone si accalcano attorno alla scena per poter dire: “c’ero anch’io!”. Eppure nell’immagine c’è qualcosa di strano: anche gli astanti sono rappresentati denudati, come il Cristo sulla croce. Gli strumenti di tortura in primo piano ci fanno capire come il tono della scena sia appunto l’orrore, la violenza, lo scempio. E di fronte ad un Dio che ha scelto volontariamente tutto questo non si può rimanere indifferenti e non si può più fingere: anche noi siamo messi a nudo, scoperti nella nostre falsità ed indecisioni. Occorse scegliere se vogliamo collocarci su questa scena a cavallo, come artefici di una violenza, oppure nudi, senza più infingimenti, a cercare di coprire il corpo del Signore, ad evitare che alla morte del povero si aggiunga anche il disprezzo o l’umiliazione della vergogna.