𝗖𝗼𝗺𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗮𝗹 𝗩𝗮𝗻𝗴𝗲𝗹𝗼 𝗱𝗶 𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗮 𝟭𝟮 𝗺𝗮𝗿𝘇𝗼 𝗲 𝗿𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗺𝗶 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗔𝗿𝘁𝗲
Ancora oggi a Sichem, denominata più frequentemente Nablus, possiamo avvicinarci ad un pozzo che dalle profondità della roccia dona alla popolazione acqua fresca e un duplice ricordo: quello del Patriarca Giacobbe e quello dell’incontro casuale di Gesù con una donna. Ma il Signore non disperde questa casualità, non si lascia sfuggire l’occasione di offrire a chi sta semplicemente attingendo da bere, nutrita da una fede tradizionale, l’acqua viva della sua parola. Gesù conosce chi ha di fronte; sa che non è perfetta o santa. E non aspetta nemmeno che lo diventi: la sua situazione familiare potrebbe essere definita, anche con i parametri del tempo, insolita e illecita, il suo viaggio al pozzo non ha come obiettivo un incontro con Dio, e la domanda che rivolge a Gesù cerca semplicemente un piccolo aiuto nella sua fatica quotidiana. Quando viene sollecitata sul piano della fede, la sua curiosità è solo a proposito della legalità del culto. Vive la sua vita e non sta cercando un cambiamento, tanto meno una conversione. Eppure Gesù parte da questi bisogni semplici, dalla difficoltà del quotidiano, dalle domande ingenue e dalle motivazioni estrinseche della samaritana per annunciare, per donare la sua acqua viva, la sua parola efficace, la sua vita nuova.
Inizia con non giudicarla, né come donna, né come samaritana; chiede prima di donare, e mostra anche lui il suo bisogno, rendendola consapevole che lei non è così povera da non poter donare qualcosa agli altri. Ma, aggiunge subito dopo, nemmeno così ricca da non aver bisogno lei stessa. Un bisogno certo materiale, ma anche il bisogno di guardare più in alto e più in profondità nella propria vita, il bisogno dell’assoluto.
I discepoli di Gesù non capiscono (come quasi sempre quando il Signore agisce senza averli prima educati); i compaesani della donna sono coinvolti senza volerlo. Il testo non ci dice se la samaritana cambierà le sue scelte, se quel villaggio continuerà a credere in Gesù, se i discepoli avranno imparato ad agire come il Signore. Questo racconto rimane sospeso, tra il tempo in cui si è svolto, e l’eternità a cui il Vangelo lo ha consegnato, perché in ogni epoca possiamo riflettere su questo: ad ognuno di noi tocca di aspettare un incontro, ad ognuno di noi spetta l’avvicinamento ad un pozzo, ciascuno di noi ha almeno un vicino a cui raccontare quella esperienza di Dio che, inavvertitamente, lo ha cambiato.
𝗖𝗿𝗶𝘀𝘁𝗼 𝗲 𝗹𝗮 𝗦𝗮𝗺𝗮𝗿𝗶𝘁𝗮𝗻𝗮 𝗮𝗹 𝗽𝗼𝘇𝘇𝗼 – 𝗔𝗿𝘁𝗲𝗺𝗶𝘀𝗶𝗮 𝗚𝗲𝗻𝘁𝗶𝗹𝗲𝘀𝗰𝗵𝗶
Questa tela, acquisita recentemente dal Museo di Palazzo Blu a Pisa, è attribuita ad Artemisia Gentileschi. Pittrice del 600, degna seguace, sia del padre che del Caravaggio. E non è strano che proprio una donna abbia voluto rappresentare il momento in cui Gesù ha mostrato un atteggiamento molto particolare verso il mondo femminile, parlando con una di loro, e per di più, eretica, senza le prevenzioni tipiche della sua epoca.
Ma ciò che possiamo trarre dall’immagine va, secondo me, oltre la semplice polemica di genere: facile notare il volto ispirato del Cristo che sta parlando della vita vera, oppure l’attenzione e concentrazione della samaritana che ha ormai abbandonato ogni attenzione per il proprio recipiente condannandolo ad essere soltanto uno strumento di appoggio. Si parla di acqua certamente, ma questa acqua non è destinata semplicemente a calmare la sete. Gesù mostra una strada nuova e diversa: il pozzo è solo un luogo su cui sedersi; il secchio, necessario ad attingere dal pozzo, sta abbandonato in terra, ai piedi dei dialoganti. Nulla sembra avere più importanza se non la parola, che sta calmando un’altra sete, ben più intima e ardente. Gesù mostra cura per la vita della sua interlocutrice, attenzione alla sua ricerca, ascolta e mostra le sue parole come segni, segni di un mondo nuovo che sta arrivando, di una nuova vita possibile, di nuove relazioni che cambiano nel profondo.