Abbiamo in questa domenica parabola del ricco dissipatore e del povero sofferente chiamato Lazzaro. Il testo non ci dice il nome del ricco, (che noi chiamiamo Epulone, dal verbo che lo caratterizza nel testo latino, il verbo epulare, che indica proprio lo sperpero dello scialacquatore) quasi ad indicare che non si tratta di indicare una persona precisa, ma un atteggiamento, un modo di essere, che il testo ovviamente addita al disprezzo del lettore. I due quadri del racconto, quello del banchetto a cui il povero non può partecipare, e che viene soccorso solo dall’istinto amorevole dei cani, e quello della vita dopo la morte, non fanno altro che aumentare il nostro disprezzo per il ricco che, incredulo della propria sorte, continua a pensare che si possa alla fine trovare un modo per rimediare alla sua miserevole condizione, proprio lui che di alleviare la sorte degli altri non si mai preoccupato durante tutta la sua esistenza terrena.
Anzi, anche nella parte finale, quando ormai sembra rassegnato sulla propria sorte, e comincia a preoccuparsi per chi è ancora in vita affinché non debba cadere nella sua stessa punizione, fa una distinzione che evidenzia il suo irremovibile egoismo e che provoca la dura risposta di Abramo: “manda ad avvisare i miei parenti! Di loro soltanto mi interessa, non degli altri. La mia famiglia, i miei parenti, i miei beni”. Il ricco non vede altro, non si distacca da un angolo di campo molto ristretto. Gli altri, chi non fa parte del suo gruppo, è solo una cosa di cui poter disporre. E sono le sue stesse parole che provocano la risposta di Abramo: “Proprio perché, come te, saranno chiusi a qualunque prospettiva che non rientri nel loro sguardo limitato, nemmeno un risorto dai morti, potrà farli convertire”. Certo una profezia su quello che sarà anche oggi il nostro destino: se non apriremo lo sguardo al di là del nostro piccolo ed egoistico interesse, se rimarremo “ricchi” di noi stessi e del nostro modo di vedere, nemmeno la resurrezione di Gesù potrà cambiare le nostre piccole e grette esistenze.
Evangelario di Echternach (fine VII sec.)
L’immaginario alto-medievale rappresenta in modo molto concreto la nostra parabola, mettendo in luce proprio i due momenti, iniziale e finale della storia di Epulone, e al centro la morte di Lazzaro come elemento discriminante e la sua accoglienza “nel seno di Abramo” immaginato come una bambino in braccio al padre. La sua anima esce dalla bocca nel verso giusto, nello steso senso del corpo; non è un’anima rovesciata, che deve “convertirsi”.
Nemmeno Epulone si converte dal suo comportamento malvagio che destina la sua anima ad essere presa in consegna da due diavoli neri che lo accompagnano al destino di sofferenza.
Il corso d’acqua che scorre, acqua viva che sottosta al destino del povero, in Paradiso, e da cui Epulone vorrebbe avere sollievo è lo stesso corso d’acqua che scorre sotto al letto del ricco al momento della morte. Le gioie di cui ha goduto in vita sono passate alla beatitudine del povero, che invece durante la sua esistenza ne era rimasto privo, fuori dalla casa del ricco. Questo schematismo e parallelismo, che trova ragione nel testo, mette bene in evidenza come nel Vangelo di Luca, al ricchezza costituisce proprio un impedimento alla comprensione, renda lo sguardo miope, chiuso nell’angustia di una dimora, da cui la visione del mondo non può essere completa.